Quelle di Andy e Marion sono state due vittorie significative, che riassumono perfettamente il male che affligge il tennis contemporaneo. Se escludiamo la Williams, unica vera personalità carismatica, capace di costruire un qualcosa solo con le proprie forze, il tennis femminile si riduce a una serie di urlatrici che fanno a gara a chi picchia più forte, a chi ha più paranoie, doppie personalità, turbe mentali e tic. Per trovare tenniste vere, che sappiano toccare la palla e dare un senso alle giocate usando il cervello, forse bisogna arrivare fino alla Vinci, passando ogni tanto per la Radwanska.
Niente da dire sul successo della francese. Ha pesantemente schiacciato la tedesca, facendola piangere ancora prima di averla battuta, con un punteggio che ha avuto ben poco da emozionare e narrare. Certo era ovvio il crollo di Sabine, noi ce lo aspettavamo addirittura ai quarti, dopo che aveva eliminato la Williams, ma non è che Marion fosse messa meglio, dalla sua aveva solo la finale del 2007 fallita e niente più. Inoltre era arrivata all'ultimo atto facendo fuori anche Peperina e Topolina, talmente erano basse le classificate che ha incontrato, ragion per cui non poteva nemmeno vantare le sicurezze sul campo.
Eppure alla fine, a differenza dell'avversaria, ha fatto il suo e ha vinto lei il torneo senza perdere un set in due settimane. Ha trionfato il tennis brutto della transalpina, bimane nel midollo, con un servizio che sembra una crocefissione e un tocco che a confronto Davydenko è un suonatore d'arpa. Ma non basta, ottocento tic al secondo, pugnetti compulsivi anche al raccattapalle che le passava la palla e sugli errori dell'avversario, goffaggine da cartone animato e leggiadria che non si vede nemmeno tra i ballerina di Amici di Maria De Filippi. Ma alla fine è giusto che abbia vinto lei, perché l'ha meritato e anche perché noi estimatori di questo tennis inesistente lo meritiamo. E' necessario toccare il fondo per provare a riemergere e questo Wimbledon il fondo l'ha sfondato.
Arriviamo quindi ai maschietti. Che la finale sia stata giocata tra il numero uno e due del mondo sicuramente non salva la baracca, anzi la fa crollare ancora di più, se si pensa che i rappresentanti del tennis nel mondo sono loro. Assenza totale di pathos. A un certo punto i due hanno messo il cappellino e non si capiva più chi fosse robottino Djokovic e chi robottino Murray. Un gioco speculare, dove prima di andare a cercare un vincente ci dovevano essere almeno 10 scambi a monte, altrimenti a nessuno passava per la testa di provare a variare. E non diciamo di cercare l'attacco a rete o la finezza, ma almeno provare un taglio diverso alla palla. Non esiste. Braccio di ferro a fondo, recuperi, un gioco alla ricerca del minor numero di forzati. Si son visti scambi da terra e a volte peggio. Avesse vinto Nole o Andy, a prescindere dalle simpatie personali, sarebbe stato indifferente per il tennis.
Djokovic ha fatto una magrissima figura e si capiva da parecchio sarebbe andata così. Non ha mai brillato, e non solo in queste due settimane, ma già dai primi passi sulla terra. Il suo tennis di percentuale, coi gratuiti ridotti all'osso fa acqua da tutte le parti da mesi. Murray così ha stravinto la finale nel sacro tempio, schiacciando in tre set il numero uno del mondo. E' giusto così. Nel tennis maschile standardizzato e monotono, che ormai trionfa, si è meritato lui di alzare la coppa, e noi. Perché, così come nel femminile, anche nel maschile è necessario avere l'acqua fino ai capelli per capire che bisogna cambiare qualcosa.
Quando eravamo incatenati a uno tra Nadal e Federer, almeno si poteva dire "ha vinto il cuore, la grinta, la passione, la difesa di ferro dello spagnolo" oppure "ha vinto lo stile e l'eleganza dello svizzero". Per quanto visto ieri cosa dobbiamo dire? Dove sarebbe la diversità o unicità del giocatore e il confronto di stili che crea la preferenza? Ci si riduce al tifo con la monetina, alla simpatia o per chi vince il primo set, in modo che lo strazio finisca quanto prima possibile. Difficile che Murray venga tramandato per un'identità tennistica, ma è molto più probabile che venga ricordata la sua camminata ciondolante e incredula a fine match che sembrava dire "Come ho fatto a vincere?". E anche noi ce lo chiediamo. Sì, terremo a mente il suo titolo, ma solo perché dopo 77 anni un britannico ha vinto nuovamente a Wimbledon. Peccato fosse scozzese.
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