La D è muta, ma si è sentita per ben tre volte consecutive. Djokovic vince gli Australian Open 2013 confermando il risultato dei due anni precedenti: nel 2011 a farne le spese fu Murray e nel 2012 Nadal, dopo la celebre maratona infinita. Sembra proprio essere il torneo preferito del serbo, anche alla luce del fatto che fu suo nel 2008, nonché primo Slam di carriera. Ieri la vittima sacrificale è stata nuovamente Murray, come due anni fa. Magari è un segno di chiusura di ciclo, ma per ora dovremo attendere un'altra stagione piena, prima di poter menzionare un altro tennista vincitore degli Australian Open e quindi potenziale vincitore del Grande Slam. A proposito di questo, l'assenza di Nadal dal circuito, potrebbe portare in casa di Nole anche il Roland Garros e chili di grinta extra per fargli pensare di calare il poker a fine anno, come è successo a pochi illustri nella storia. Tutto questo marasma di info oscurano Murray, ma la colpa non è nostra, è lui che ha pensato da solo di inabissarsi in tempi record, pur avendo il match dalla sua.
Ebbene sì, nonostante alla fine si sia tramutato in un trionfo schiacciante per Djokovic, non bisogna dimenticare che per lui la partita non è stata proprio una passeggiata. I due giocano praticamente a specchio e forse su alcuni colpi Murray ha anche più sicurezza di metterla dentro, vedi servizio e dritto. Nole invece dalla sua ha indubbiamente un rovescio più malleabile, preciso e potente. Il bilancio è tutto sommato un pareggio sulla carta e infatti primo e secondo set è andato avanti in modo che nessuno permettesse all'altro di mettere la testa avanti, nemmeno di un millimetro. Doppio tie-break, il primo ad Andy e il secondo al serbo.
Ristabilita la parità, la situazione ha cominciato a farsi veramente seria e come dice la nota frase: quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. E' subentrato il terzo incomodo, fattore basilare che in due o tre hanno imparato a usare nel circuito: il cervello. Appena Nole ha visto che non si trovava più in svantaggio, ha iniziato a fare la formichina pugile intelligente. Prima pugnetti ai lati, poi ogni tanto un bel gancio a viso aperto, fino al break decisivo del terzo set, che gli ha permesso di chiudere il parziale 6-3, e diventare una belva. Il match non era ancora chiuso, ma tutto ci faceva pensare che i giochi ormai erano fatti.
Non ci è passato molto, che nel quarto, il serbo si è trovato avanti due break e ha chiuso l'incontro con un 6-2. C'è poco da dire. La storia si ripete, Murray è ormai un tennista perfetto, colpi impeccabili ed efficacissimi, ma quando le cose non gli vanno per il verso giusto, a meno che non si trovi a giocare contro Munoz de la Nava, si trasforma in un pulcino dolorante e perde da solo. Lendl gli ha messo a posto il dritto, ora gli servirebbe uno psicologo bravo che gli insegnasse a lottare con la testa. L'atteggiamento è da juniores. Ok, aveva il piede mangiucchiato da qualche diavolo Tasmaniano, però è ormai anni che lo vediamo nel circuito ed è l'unico che stranamente ha male, solo quando perde. Ovviamente "unico" rapportato ai big, la marmaglia fuori dai primi 4, con questi nomi in gioco non esiste proprio.
A parte la sconfitta di Del Potro a sorpresa, il resto del torneo ha seguito il suo naturale svolgimento, rendendosi non proprio avvincente e interessante. Ci sono stati veramente pochi acuti. Tra i tre pretendenti al titolo, forse solo Federer ha avuto qualche virtuale insidia sulla carta, ma con la formula del 3 su 5 la questione cambia e, a dirla tutta, solo con Tsonga ha avuto bisogno di andare oltre il terzo set. Murray è giunto in semifinale con un tabellone a dir poco ridicolo, ma ha dato una ripassata a Roger e quindi la finale è più che meritata. Il serbo ha trovato solo Ferrer come possibile ostacolo, ma è stato un massacro, ha indubbiamente fatto molto meglio Wawrinka in stato di grazia. Il suo vero ostacolo sarebbe potuto essere proprio in finale Murray, il quale invece non ha fatto altro che non perdere occasione per ribadire che ancora oggi deve pregare ogni notte tutte le divinità del tennis, per essere stato graziato lo scorso anno a Flushing Meadows. Djokovic è ancora il numero uno in classifica e, per quanto riguarda i risultati, è giusto sia così.
Gli Australian Open 2013 ci salutano e possiamo
finalmente tornare a vivere con l'orario italiano, anche perché nel fine
settimana ci sarà l'evento: Italia-Croazia di Davis. Noi ci prendiamo i due-tre canonici giorni di pausa post-Slam, nei quali ne approfitteremo per far fare qualche giro turistico di ringraziamento al canguro, dingo e koala, per averci curato nei giorni di malattia. Poi però li sbatteremo fuori casa, perché ci stanno rosicchiando i mobili, mangiando le piantine, intasando le vie respiratorie di peli e tra l'altro non hanno nemmeno voluto darci un contributo sull'affitto. Quindi è giusto che tornino in patria, anche perché ora il koala ha le elezioni, si deve fare altri due lifting, fare molti sorrisi alle telecamere, aggiungersi capelli in testa e mettersi altro lucido per far vedere che li ha foltissimi! E' veramente tutto... per ora. A presto e buon tennis!
1 commenti:
Il gap tra i due è essenzialmente (e clamorosamente) di natura mentale. Dove il serbo è corazzato ed inscalfibile, lo scozzese palesa ancora una fragilità invalidante, ai confini della sudditanza.
Tennisticamente e nel contesto di una specularità tattica dove Djokovic esalta doti di elasticità e tenuta fisica "innaturali" (fuori d'ogni antipatica dietrologia farmacologica), non credo di allontanarmi dalla realtà nell'accordare allo scozzese un potenziale (netto) vantaggio tecnico (rovescio compreso), certificato da una mano ben più raffinata, una varietà di colpi ed una qualità "volleatoria" fuori dalla portata del serbo, sanguinosamente troppo spesso abbandonate sull'altare di una pavida e rassicurante ricerca della mera regolarità, sufficiente a stroncare le velleità della maggior parte degli attuali antagonisti quanto alla lunga controproducente nel confronto diretto con l'attuale numero uno.
Stefanello L.
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