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lunedì 22 aprile 2013

Addio Monte-Rafael, Djokovic libera il principato monegasco. Perché il serbo batte Nadal?

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Djokovic domina la finale del torneo di Monte-Carlo 2013 e cancella il nome di colui che per 8 anni consecutivi l'aveva monopolizzato, lasciando a malapena le briciole a chi avesse provato ad opporsi. Avete letto bene "domina" nonostante il secondo parziale sia stato portato a casa al tie-break. Perché se molti, accecati dal tifo per Nadal leggono solo un 7-6 di salvezza a quella che per un 15 non è stata un'umiliazione con l'ovetto, la chiave di tutto il match si trova quando sul 6-5 e servizio Rafa, Nole ha deciso di vincere la partita riprendendosi il break a zero, con 4 vincenti, che hanno lasciato lo spagnolo inerme. Atterrato il maiorchino, Djokovic ha lasciato un solo punto nel tie-break, prima di alzare le braccia al cielo. Il match è stato deciso solo dagli alti e (i rarissimi) bassi di Novak, ragion per cui è sempre stato nelle sue mani, dal primo all'ultimo punto. Era la prova del nove per Nadal e giustamente non è andata in porto, perché se fino a poco tempo fa poteva ritenersi imbattibile sul rosso, ad oggi deve fare i conti con un diretto avversario capace di tenergli testa e all'occorrenza farlo scendere dal trono. Perché Rafa è diventato vulnerabile sulla terra e al cospetto del serbo?

Djokovic è indubbiamente l'unico anti-Nadal, colui che riesce a contenere lo stress mentale degli infiniti recuperi dello spagnolo, il solo che ha le caratteristiche tecniche per "entrare" pulito sui colpi iper-effettati di Rafa e l'unico che riesce a non regalargli i gratuiti che lo fanno campare di rendita. Dal 2011 a ieri, Djokovic è semplicemente più efficace in quelli che sembravano essere i pilastri indissolubili del tennis del maiorchino.

Nadal è un mix di elementi, uniti in laboratorio dallo zio Toni, con lo scopo di essere vincente, ma che è degenerato in un qualcosa che ha modificato il tennis e l'ha portato a quello che è oggi. Se esiste un Nole di queste dimensioni, è perché fino a ieri c'era l'imbattibile Rafa. Ma quali sono i principali ingredienti di questo cocktail? E soprattutto come può Djokovic contrastarli?

- gambe: è la caratteristica più evidente, scontata da citare e ad essa si accorpa la tenuta fisica. Gli spagnoli hanno sempre avuto una tradizione di corridori che campavano della stagione sul rosso traendo un po' di visibilità e punti. Durante il resto dell'anno giustamente sparivano perché non potevano zompettare anche sulle altre superfici veloci. Questa caratteristica Nadal l'ha portata all'ennesima potenza, così tanto che sulla terra è praticamente imbattibile e, al di fuori del rosso, riesce a giocare quasi allo stesso modo, ovviamente aiutato anche dal rallentamento di cemento ed erba. Grazie a queste gambe da centometrista Rafa si può permettere di correre da una parte all'altra del campo annientando i contropiede e quindi la maggior parte dei vincenti dell'avversario. Il dispendio di energie dello spagnolo a ogni match è esorbitante, ma unendo velocità a resistenza fisica, riesce a rimandare indietro il 90% delle palle dell'avversario, costringendo l'altro a sbagliare o a correre fino allo sfinimento.
Djokovic non è che non macini chilometri, anzi, anche lui fa le sue belle cavalcate, ma per quanto possa sembrare strano a dirsi, in ogni scontro con Nadal il serbo fa la metà dei chilometri di Rafa, se proprio vogliamo esagerare 2/3. Com'è possibile? E' più semplice di quanto possa sembrare. Lo spagnolo gioca sistematicamente a 4 metri dalla linea di fondo, ragion per cui il suo campo da 11 metri (circa) si allunga a 15. Solo entrare nel campo significa fare 5 metri (sembrano pochi, ma in tre ore di match si sentono eccome!). Se poi contiamo il raggio d'azione di un colpo a 15 metri dalla rete, vediamo come le distanze laterali da percorrere per raggiungerlo quasi si raddoppino. Infatti, se il campo è largo circa 8 metri, Nadal su un giro di "tergicristallo" percorre una distanza di circa 20 metri e più sta indietro e più questa dimensione cresce. Quindi in uno scambio nel quale fa i suoi canonici 3-4 recuperi incredibili, il chilometraggio vola, ma contro un avversario qualunque lo sforzo ripaga con l'arrivo di un gratuito per sfinimento del malcapitato dall'altra parte della rete. Anche Djokovic recupera di tutto, ma a differenza di Rafa, la sua impostazione di gioco è prevalentemente coi piedi dentro il campo ed ecco che le distanze da percorrere si dimezzano. La tecnica robotica del serbo, gli permette di entrare in anticipo sui colpi, quindi sul rimbalzo in ascesa. Questo vuol dire guadagnare quei 5-6 metri su Nadal, ovvero correre 10-12 metri in meno per colpo, togliergli i tempi di reazione, poter creare più gioco e vincenti. Ovviamente non è roba da tutti, non tanto giocare d'anticipo, quando farlo con costanza e bene.

- testa: benché molti detrattori del maiorchino si appiglino alle sole gambe come sua unica arma vincente, i neuroni funzionanti influiscono nel 50% dei suoi match. Molti tennisti dalla classifica mediocre, con un cervello potrebbero stare molto più in alto. La materia grigia, oltre a far funzionare tutto il corpo, regola emozioni e dosa i picchi di concentrazione. Moltissime volte Nadal vince match ormai persi, non solo perché corre e porta l'avversario all'errore, ma perché non si arrende, percepisce il pericolo anticipatamente, pensa prima e dopo lo scambio, riesce a dosare l'attenzione sui punti che contano. Ecco perché i suoi match registrano caterve di palle break non trasformate per l'avversario e a lui ne bastano due guadagnate e concretizzate per vincere. Di pari passo va quindi il cosiddetto "cuore" e l'animo da vincente. Gli avversari non è che non abbiano "cuore" o l'animo da perdenti, ma semplicemente alla prima avversità smettono di crederci e spengono il cervello, concedendosi in balia dell'altro, quando invece sono quelli i momenti in cui la testa è basilare e deve raggiungere il massimo dell'attività. Da questo punto di vista lo spagnolo e Djokovic di base si equivalgono, ma la differenza sta nella malleabilità del pensiero. Infatti, se per il serbo una sconfitta non rappresenta motivo di disperazione, per Rafa è motivo di grave trauma, da giustificare a tutti i costi. Probabilmente l'idea che il maiorchino aveva nella sua testa di invincibilità era talmente tanto espansa, indotta e costruita a tavolino, che al minimo inghippo si è sciolta. Infatti è bastato un successo serio a Djokovic per disintegrare il guerriero invincibile. Ed ecco che contro il serbo ora bastano due game iniziali andati male, per compromettere un intero match. Djokovic di questo ci campa, del resto se l'è guadagnato, esattamente come succedeva a Rafa contro Federer, dove lo svizzero partiva già col morale sotto le scarpe. A questo crollo della mentalità da campione si sono poi aggiunti gli infortuni, che ovviamente arrivano se il corpo lo porti sempre al 1000%, ma per uno che ha costruito una carriera anche sulla fisicità si può ben capire che influiscano non poco a livello mentale. Ecco perché al minimo male fisico è subito tragedia e lo racconta come se stesse girando in sedia a rotelle. Ma in realtà sono solo alibi creati per se stesso. In parole povere la testa tra i due influisce perché ora, quando opposti, Nole entra in campo con la mentalità vincente e Rafa con quella che alla prima avversità è già spacciato. Mentre prima lo spagnolo cominciava una partita pensando di essere favorito, ora sente l'esatto contrario e al massimo converte a fatica la sua negatività durante il match, se il serbo lo aiuta calando. Praticamente è come se entrambi dovessero correre la maratona, ma Djokovic parte con un chilometro di vantaggio.

- gioco mancino iper-arrotato: come ben sappiamo Rafa è un mancino da laboratorio. E' lo zio che l'ha portato a giocare con la sinistra, perché nel tennis avendo il 90% dei giocatori destrorsi, gli automatismi tattici sarebbero diventati più difficili da applicare su di lui. Su uno sport che si decide su frazioni di secondo non è poco! Ma sicuramente Nadal non è diventato un campione perché gioca con la mano del diavolo. Sia chiaro, perché allora qualunque mancino sarebbe vincente. Bisogna aggiungere svariati accorgimenti come: modi strani di prendere la racchetta, forza bruta, mosse anomale e tanto altro determinato dalla frustata di polso che rendono le sue palle non solo con traiettorie mancine esasperate, ma difficili da gestire dopo il rimbalzo, soprattutto perché buttano fuori dal campo e portano a giocare male. Nadal è unico in questo. Tra tutti i tennisti in attività ci sono quelli che semplicemente hanno paura e si rifugiano tra le braccia dei giudici di linea propensi a farsi umiliare o convinti di stancare lo spagnolo. E un 1% formato da Djokovic e Federer che invece non aspettano che il rimbalzo della palla di Rafa sfoghi le traiettorie velenose, ma giocando coi piedi dentro il campo anticipano i colpi. Roger ci ha messo un bel po' ad affinare le tempistiche, soprattutto col rovescio, infatti i successi sul maiorchino sono arrivati con più frequenza e semplicità in tarda età. Djokovic invece ha sempre avuto le idee chiare, ma fino al 2011 non ha mai raggiunto la sicurezza di rimettere sempre la palla in campo, giocando con così alti rischi.

Nole era un predestinato, le basi erano buone e non ha fatto altro che essere paziente e ottimizzare in un altro modo il mix di questi tre elementi sopracitati, dominanti nel tennis di Nadal. Perché sì ricordiamolo, se oggi esiste questo Djokovic è perché fino a ieri c'è stato Rafa. Il serbo fisicamente ha sicuramente migliorato la corsa e la resistenza per essere pronto a tutto, ma non per farne un cardine del gioco. Infatti la sua impostazione è offensiva, proprio per macinare meno chilometri. Allo stesso tempo ha fatto un lavoro maniacale per accorciare i tempi, migliorare i colpi d'anticipo, in movimento e far si che la palla arrivasse sempre dall'altra parte con un senso e non nella sola speranza che prima o poi sbagli l'altro, come invece troppo spesso fa Nadal. Tutto questo, unito al fatto di essere diventato omogeneo tra lato destro e sinistro del campo, lo rende assolutamente impermeabile alle traiettorie velenose di Rafa e tutti gli altri ovviamente. E dulcis in fundo, come si suol dire, prende veramente il tennis "con filosofia". E' palese dal viso che non ha complessi o turbe varie quando sta sul campo, ragion per cui la concentrazione sul match è libera e diretta all'obbiettivo, ma allo stesso momento pronta ad accettare tranquillamente qualunque inghippo per trasformarlo in energia positiva. Questo cocktail di fattori permette al serbo di non avere attuali rivali, ma anche di vivere sul ciglio di un burrone e infatti, appena uno degli elementi non funziona, perde. Ecco spiegato il buco del 2012 e l'exploit dell'anno prima. La vera difficoltà sta nel mantenere sempre vivo l'equilibrio, impresa non per tutti, che però accende in noi la speranza che dopo di lui ci si dia una calmata e si torni a un tennis più semplice e piacevole giocato con la racchetta.

Djokovic oggi è numero uno al mondo perché la completezza raggiunta lo porta ad essere un camaleonte del tennis. Ha trovato di ogni antagonista, Federer, Nadal o Murray che sia, il punto debole e ogni incontro gioca in modo diverso, facendo le cose essenziali per battere QUEL rispettivo giocatore. Ecco perché ogni volta vediamo sempre il solito film. Oggi merita di esser numero uno perché ha una mossa vincente e assodata su tutti, ma per ovvie ragioni non può assolutamente essere messo al di sopra di chi l'ha preceduto. Per lo meno, non ancora. Che poi piaccia o non piaccia come gioca bé... de gustibus, il tennis moderno è questo, pace all'anima sua

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